Consostanzialità del movimento di apertura e chiusura dell’inconscio

Possiamo iniziare prendendo in esame una vignetta clinica: una ragazza di diciannove anni si vanta in seduta dei suoi miglioramenti raggiunti in appena due mesi di intervento orientato alla psicoanalisi. Ritiene di aver superato la sua ansia sociale che si manifestava come paura del giudizio dei pari e la portava ad essere rigida e chiusa e a non parlare con gli altri. La paziente parla del suo stare bene come non aveva mai fatto, lasciando intendere che desideri chiudere con gli incontri, senza però affermarlo. Chi ascolta, il suo analista, pensa di intendere qualcosa ma non intende anticipare la domanda della sua giovane paziente e fa finta di non capire. In questo spazio di non comprensione offerto dal suo analista la paziente aprirà una questione mai affrontata prima. Afferma adesso con parole inedite che suo padre la giudichi sul suo modo di parlare e che lei cerchi sempre di evitare che lui l’ascolti. La questione della relazione con l’altro, “il giudizio dei pari”, l’altro con la a minuscola, si sposta sul lato familiare, ciò che in lacanese 1sarebbe indicato con ciò che assolve la funzione dell’Altro con la A maiuscola.
Eppure questa apertura che concerne la messa in questione del posizione della paziente in rapporto al suo Altro (in questo caso del rapporto tra la ragazza e suo padre), invece che produrre un maggior ingaggio nella cura trattandosi di un aspetto importante da indagare analiticamente una volta emerso, si trasforma nel suo esatto contrario: a fine della seduta la paziente manifesta ciò che l’analista aveva inteso, sarebbe a dire, la volontà di interrompere le sedute.
Questo esempio mette in chiaro come la stessa apertura dell’inconscio si trasformi in chiusura. La nozione di battito manifesta questo movimento nella polarità, nel ritmo aperto-chiuso. Proprio sul più bello, si potrebbe dire, quando la persona arriva a questionare il suo rapporto con l’Altro, a metterlo in dubbio, molla la mano tesa dal suo Virgilio psicoanalitico, e si rifugia nella stabilità familiare alla quale fin dalla prima seduta racconta di essere molto legata.
Occorre entrare nel merito analizzando questa frase: la paziente decide di chiudere con l’analista quando apre la sua questione con il padre e possiamo aggiungere, in questo modo ottiene di non doverne più parlare.
Oppure ipotizzando che le sue intenzioni fossero già presenti, come ipotizza l’analista in questione2, potremo rovesciare il discorso chiedendoci se sia possibile l’esatto opposto e poter asserire dunque: la paziente apre la sua questione con il padre quando decide di chiudere con l’analista cioè in questo modo, in ritirata, fa l’ultimo disperato tentativo “di salvarsi”. Sgancia “l’arma segreta”, potremo dire, seguendo la metafora bellica. Il focus della vignetta che cerchiamo di analizzare allora può essere rintracciato da una domanda, a patto che essa possa essere ritenuta valida e ben posta: possiamo descrivere questa manovra di chiusura soltanto come una resistenza al trattamento? quale dei due momenti è causativo dell’altro?
In altre parole: la paziente sgancia una “bomba in ritirata“, oppure si ritira per sottrarsi agli effetti che potrebbe avere una delle “bombe” più grandi che avrebbe potuto sganciare dall’inizio del trattamento?
Da un punto di vista sincronico3 i due movimenti sono lo stesso; nella logica combinatoria del linguaggio in quanto sistema simbolico è indifferente che l’uno sia causativo dell’altro. Per riassumere potremo dire che là dove si tocca un punto tale da mettere in crisi un sistema (come ad esempio il sistema familiare della paziente), si verifica la chiusura della cura e il movimento di ritirata, ma queste operazioni non indicano quale quale delle due sia causa e quale l’effetto. Anzi in un certo senso ipotizzo che il movimento di apertura e chiusura siano consostanziali4. Quel che accade è una reazione, per semplificare potremo dire “di omeostasi”, omeostasi tra gli elementi simbolici che nella paziente costituiscono il suo mondo psichico. Per cui sincronicamente là dove una faglia viene aperta nella struttura simbolica, faglia che nel nostro caso corrisponde all’emersione della questione del rapporto con il padre, il sistema si riassesta sancendone nuovamente che il buco aperto si rimargini.
Certo questo movimento di chiusura può essere analizzato come un agito che mina il rapporto tra paziente e analista decretandone la sua chiusura, un agito che a che fare con una certa situazione transferale, cioè che si dà all’interno di una certa relazione paziente-analista. Non neghiamo ciò ma cerchiamo di spingere oltre, verso un altro livello di analisi, che può forse aiutare a comprendere pure i movimenti trasnferali del caso presentato. Il punto fondamentale di ciò che si mostra nell’esempio di cui ci siamo occupati non risiede qua, o meglio non si esaurisce nell’azione di un transfert negativo ai danni dell’analista che può pure essere ipotizzata e compresa in ciò che stiamo provando ad affermare. J. Lacan ha trattato questo punto, cioè la concettualizzazione dell’inconscio come faglia, che rappresenta piuttosto una discontinuità nell’esperienza che un concetto ontico, cioè un concetto operazionalizzabile da un pensiero psicologico. Nel senso più pieno, l’inconscio è ciò che si mostra nella discontinuità in un movimento di apertura e di chiusura dell’esperienza della coscienza. Alla stregua di un battito cioè si mostra nel tessuto della realtà ciò che è sempre presente e in un certo senso sempre deviato nella e dalla continuità dell’Io.
“La faglia dell’inconscio, potremmo dirla pre-ontologica. Ho insistito su questo carattere troppo dimenticato – dimenticato in un modo non privo di significato – della prima emergenza dell’inconscio, che consiste nel non dar adito all’ontologico. Infatti, quello che anzitutto si è mostrato a Freud, agli scopritori, a coloro che hanno fatto i primi passi, quello che si mostra ancora a chiunque nell’ analisi adatti per un momento il proprio sguardo a ciò che è proprio dell’ordine dell’inconscio, è che non è né essere né non-essere, ma è del non-realizzato“5
(Jacques Lacan, 1964)
Vorrei esaurire esaminando un solo aspetto di questo concetto sebbene la complessità dell’argomentazione meriterebbe un approfondimento ulteriore (azione esaustiva concessa dai meri scopi divulgativi di questo scritto), nel ribaltare in un senso meno intuitivo questa asserzione appena citata. Solitamente si è sottolineato nel termine del non realizzato l’aspetto creativo, generativo del senso inedito e di sorpresa che può avere l’apparizione dell’inconscio sulla scena del teatro dell’Io. Ma il punto secondo me più interessante rimane concentrarsi sul non-realizzato come opposto a ciò che fa parte del quadro della realtà quindi, in questo senso come ciò che si realizza, ciò che è reale. Dunque nell’esempio di cui ci siamo occupati, quello che irrompe, interrompendo il percorso di analisi della giovane paziente, è l’ascesso di ciò che la paziente non è riuscita a realizzare, attuando uno schermo simbolico tale da poter creare una tenuta sull’effetto perturbante giocato dallo sguardo del padre (o meglio dal suo orecchio, che comunque “guarda”) rispetto a ciò che la paziente mostra di “essere”. Allora la domanda che angoscia e irrompe nella relazione terapeutica interrompendola è riassumibile nella domanda: “che vuole mio padre da me?“. In questo senso ciò che non è realizzato è l’angoscia “come segnale del desiderio dell’Altro” che fa strada “all’esperienza psichica dell’urgenza, della presentificazione di un pericolo nel qui ed ora [..] in cui l’Io fa esperienza di un incontro spiazzante, inedito, ogni volta inaugurale , con l’enigma che concerne il desiderio dell’Altro“.6 (F. Tognassi, 2018)
Se a fronte di questo punto la relazione analitica non ha avuto tenuta (sempre ipotizzando che l’analista sia potuto intervenire in un modo sufficientemente buono di fronte a questa rivelazione), si presuppone che la paziente abbia inconsciamente deviato la sua rotta a favore di un continuum ripetitivo che l’aggancia eroticamente verso quello stesso sguardo di disapprovazione che la inchiodava in una continua relazione nella quale lei è costretta ad essere evasiva, sguardo disapprovante di cui essa stessa soffriva cercando di liberarsene.
- Con lacanese indico informalmente l’idioma psicoanalitico con cui vengono definiti i concetti della psicoanalisi come delinata nell’insegnamento di J. Lacan e da chi si rifà alla sua teoria. ↩︎
- Fin dai primi incontri la paziente afferma di essere molto legata alla famiglia e di soffrire molto perché i suoi parenti sono sparsi nel territorio nazionale. ↩︎
- Si rimanda il lettore agli studi di linguistica F. de Saussure, di cui è possibile avere una piccola introduzione enciclopedica al link sottostante. https://www.treccani.it/enciclopedia/sincronia/ ↩︎
- Intendo derivare il termine di consustanzialità al termine teologico a cui si riferisce, cioè indicando un’identità nella differenza. Vedi https://www.treccani.it/enciclopedia/consustanziale/ ↩︎
- Jacques Lacan, Il Seminario – Libro XI – I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi 1964, Einaudi, Torino, 2003, p. 31 ↩︎
- F. Tognassi, La spinta trasformativa. Riflessioni sulla tecnica psicoanalitica, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2018, P.100 ↩︎
